Alla scoperta dei “natural wine makers” a Villa Favorita

Premessa (potete saltarla se vi annoia): Il mio pensiero è, come precedentemente ribadito, che il termine “vino naturale” sia una sorta di ossimoro, in quanto il prodotto naturale dell’uva non è di certo il vino, ma semmai l’aceto, per fermentazione spontanea delle uve, o ancor meglio cibo per animali e quindi vinaccioli che diventeranno sementi per nuove piante, questo almeno nel vero ciclo naturale della vite. Ma sorvolando sul lato prettamente semiotico-etimologico-grammaticale, se si considera il temine nel senso di assecondare e rispettare i cicli della natura, senza intervenire con sostanze chimiche ad essa estranee, che ne distruggono i delicati equilibri, allora la questione diventa di molto interessante.

Questo si prefigge l’associazione VINNATUR, raccogliere produttori, enoteche e ovviamente consumatori che all’edonismo del bere coniughino una vena etica, di rispetto e salvaguardia dell’ambiente, che si traduca anche, in conclusione, in salvaguardia della salute, del consumatore ultimo e dell’ambiente. Certo bisogna ricordare che nel vino la componente alcool, come anche i solfiti, sono elementi sempre presenti (anche se in minima parte per l’SO2) e assolutamente nocivi per il nostro organismo. Ma nel contesto entrano anche pesticidi, trattamenti sistemici che penetrano nella pianta e nei terreni rilasciando sostanze dannose per l’ecosistema e per la salute. Un buon sostegno alla causa viene da ricerche scientifiche che hanno dimostrato come in Francia la forte incidenza di malattie gravi come il Morbo di Parkinson sia attribuibile ai pesticidi usati in campo, e tale patologia è stata riconosciuta come “professionale”, ovvero derivante dal lavoro per gli operatori agricoli. Quindi anche se nel vino, per ipotesi, ne finissero quantità trascurabili per la salute, bisogna comunque computarne l’impatto sulla salute dei lavoratori del comparto vitivinicolo.

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Tante premesse, ma quello che in fondo conta, al di là di ideologie, teorie e pensieri, è il risultato messo in piedi da VinNatur a Villa Favorita. Scenario di charme, dove si può dialogare ai banchi di assaggio dei produttori disposti nelle ampie sale della villa e nelle sue affascinanti cantine, o uscire nel magnifico prato con vista sui Colli Berici per un momento di relax.

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Ma vengo al dunque e segnalo qualche produttore interessante, innanzitutto citando il mitico Giorgio Gaber, che cantava “Barbera e Champagne”. E qui c’era bevanda per entrambi i protagonisti della canzone. Tra l’altro al disoccupato bevitore di Barbera sarebbe andata di lusso assaggiando quella di Cascina ‘Tavijn, di Scurzolengo, nell’astigiano. La versione “base” di Barbera 2012 è un vino ben equilibrato, senza colpi di testa o di coda, che si gioca le sue carte su frutti rossi e leggere speziature, con palato abbastanza morbido, asciugato da un tannino non invadente ma un po’ sabbioso, con buona freschezza ma ben bilanciata al resto.

20140405_174211Altra cosa la Barbera d’Asti atta a divenire (ma non di per certo) la Bandita 2012, etichetta simbolo dell’azienda. Tannino vivo ma ben cesellato, freschezza tagliente e un corpo ricco e carnoso. Riempie il palato con piacere, un po’ aggressivo (trattavasi di campione di vasca, da poco imbottigliato) ma di grande potenziale. Piacevole nella sua coerenza naso-bocca dove si incontrano ricordi di tabacco rosso, frutti croccanti di prugna e ciliegia e fini spezie. Una Barbera d’assalto.

20140405_114234Per lo Champagne si rispolvera un po’ di francese con la gentilissima signora di Tarlant, cantina di Oeuilly, che ci propone il suo Tarlant Zero (chardonnay, pinot noir, pinot meunier, delle vendemmie da 2004 a 2007), un prodotto fine e pulito, che gioca di mineralità e freschezza citrina, con ricordi di pane fresco. In successione lo Champagne Cuveè Louis (50% Pinot Noir, 50% Chardonnay, raccolte da ’96 a ’99), da vigne di 67 anni, su suoli a base di crete. Interessante al naso, con note di nocciola, miele, frutti gialli e un ricordo di legume. Avvolge la bocca con buona finezza di bollicina, fresco e di discreta sapidità, ricco nei suoi ritorni aromatici protratti dalla piena freschezza.

20140405_120003Subito al banco affianco troviamo Simon Selosse, da Avize, persone forse meno espansive, ma non lo era il loro Cuveé Prestige Brut Vielles Vignes, da l ricco bouquet di miele, frutta secca, pesca sciroppata, talco, nocciola, crosta di pane, lime. Un assaggio di bell’equilibrio, con freschezza, corpo e palato ben articolato, che sviluppa gli aromi in sequenza e chiude su una scia sapida e leggermente fumè. Meno intrigante il loro Pas Dosè, ovvero il Premiers Saveurs, citrico e minerale, con bei ricordi di lieviti, ma palato un po’ strozzato da una freschezza imperante e bolla non troppo fine che chiude la progressione gustativa su toni duri. Breve e intenso.

Restando in Francia si può arrivare il Rhone, a Charnay, dove Eric Texier produce svariate etichette, dai bianchi Clairette e Viogner ai rossi a base Shiraz e Grenache. Serbo piacevole ricordo dei bianchi, con un Clairette 2013 di naso invitante, intenso di acacia e tiglio, erba fresca, mandorle e albicocche fresche, di buona beva anche se con un finale finemente metallico. Interessante anche il Viogner 2012 Opale, vinificato in stile Riesling Kabinett, che rimanda note di succo d’arancia e fiori gialli, con speziatura di coriandolo. Buona corrispondenza al palato, dove la beva è resa piuttosto morbida da un minimo residuo zuccherino.

20140405_130503Restando in argomento bianchi si può divagare, ed uscire un po’ fuori tema con i “bianchi non bianchi” di Franco Terpin. Lunghe fermentazioni sulle bucce, riposo in cantina per almeno 3 anni, zero chiarifiche e filtrazioni. Vini ricchi, dal colore, al ventaglio olfattivo, alla tavolozza di sapori. Vini bianchi ricchi come e più dei rossi, di cui l’estremo interprete è l’Illegal 2006, servito da magnum, di colore oro vecchio, consistente e vivace, spiazza con sentori inusuali e difficili da inquadrare, ma dove si denotano pietre, fiori secchi e smalti. L’assaggio è esplosivo, con intensa freschezza, subito seguita da ricco calore (16%), che protraggono a lungo note pepate e di frutti dolci, dattero, con avvolgenza e pienezza. Grande corpo ma molto ben imbastito. Sempre ricco ma meno impetuoso lo Jakot 2009 (leggi al contrario Tokaj), che sfodera un bouquet intenso e complesso, con ricordi di cenere, frutti gialli maturi, fiori fresci di acacia e biancospino, erbe aromatiche selvatiche di mentuccia e finocchietto, Assaggio ancora una volta ampio, ricco ma di fresca beva, lungo con finale di mandorla dolce. Il più elegante dei vini di Terpin, i cui vini sono tra l’altro simili a lui, corpulenti ed energici, espansivi, e se all’inizio possono spaventare per l’aspetto, si rendono simpatici e coinvolgenti alla beva.

Non mi hanno convinto i vini dei produttori spagnoli presenti, in particolare Barranco Oscuro (Granada), F. Schatz (Malaga) e Lopez Dìaz-Alejo (Valencia), da zone diverse della penisola iberica ma accomunati a mio avviso da un uso poco accorto delle barrique, che lasciano un’impronta dominante sui loro vini, nascondendo l’originalità dei vitigni.

20140405_170813Interessante invece Il Rairon 2007, uva rara in purezza, prodotto da Podere il Santo (Rivanazzano). Un rosso intenso e pieno, dai sentori eteri di smalti, foglie secche, poi cannella e spezie, mirtilli e ciliege in confettura. Assaggio percorso da viva freschezza, ci racconta un annata calda ma molto equilibrata  da quelle parti; entra deciso e verticale, con tannino fitto e asciutto, e buona persistenza sulle note di frutti rossi e neri. Di pari pregevolezza l’altro vino presentato da questa piccola cantina, solo 3 ha totali per 4000 bottiglie prodotte. Cento 2005, da uve barbera e croatina, di olfatto forse meno articolato al naso, netto su frutti rossi sotto spirito e pout-pourri fiori secchi, ma di beva agile e piacevole, che corre con sottile nota metallica, con tannino lieve e un’acidità che lo prolunga piacevolmente e invita a un secondo sorso.

20140405_152344Dal nome non si direbbe, ma Frank Cornelissen produce vini in Sicilia, dove è radicato a Solicchiata, alle pendici dell’Etna, spaccandosi la schiena a lavorare i suoi vigneti ad alberello, posti tra i 600 ed i 1000 metri di altitudine. E’ bello ascoltare le sue parole mentre racconta le difficoltà di dissodare i terreni a mano, con la zappa, evitando l’uso di trattori a causa sia delle pendenze che del danno che produrrebbero su terreni e piante. Tante lavorazioni manuali, dalle potature alla raccolta con attenta selezione delle uve. E particolari tecniche di cantina, con vinificazione in giare di terracotta interrate in pietra lavica macinata, con lunghe macerazioni con le bucce (fino a 14 mesi), per poi separarle, torchiarle e far riposare il vino in giare per altri 18 mesi. Zero filtrazioni, zero solfiti aggiunti. Una produzione variopinta, dal bianco al rosso fatto con uve “miste”, anche bianche”, al suo cru Magma Rosso, Nerello Mascalese in purezza, dai vigneti più vecchi, a piede franco, e meglio esposti, realizzato solo nelle migliori annate. Ho avuto il piacere di assaggiare il Magma 2012, che offre spunti eleganti e complessi, di carne fresca, liquirizia nera, menta, frutti rossi e una mineralità scura. All’assaggio è caldo, pieno, di tannino fitto e fine, si allarga al palato e lo occupa a lungo grazie alla perfetta base di freschezza. Indugia su ricordi minerali e di pellame. Emozionante. Senza nulla togliere alla sua eccezionalità, mostra qualche assonanza con alcuni eleganti Pinot Nero. Meno costoso ma ugualmente pregevole il vino di gamma “inferiore”, il Munjebel Rosso, dalle vigne di Nerello Mascalese della contrada di Mongibello, che tira fuori note balsamiche e speziate, oltre alla croccantezza dei frutti neri e a mineralità grafitica, che esplode in bocca con toni pepati intensi, scorrevole freschezza e lungo indugiare su echi ammandorlati e finemente animali.

20140405_122453Infine una nota di merito per due cantine che giocavano in casa, o almeno nella loro regione, il ricco Veneto vitivinicolo. Filippi, è a Castelcerino, nelle colline del Soave, dove valorizza i suoi terroir, disposti attorno alla tenuta. Tra le vigne, coltivate in regime biologico, si trovano filari si Trebbiano di Soave e Garganega, che non vengono assemblati ma vinificati in purezza. Il Castelcerino 2012 è il primo dei Soave, 100% garganega che affina 10 mesi sulle fecce fini, ottenendo un colore oro giovane e brillante. Netti e piacevoli i toni agrumati e floreali, intrisi di mineralità vulcanica, conferita dai terreni di provenienza. Intenso l’ingresso in bocca, che diviene sapido e lungo su note di agrume amaro, con note minerali in evidenza, di bella beva. Il Turbiana ’12 è invece da Trebbiano di Soave 100%, coltivato in un piccolo vigneto incastonato tra i boschi ma ben esposto. Il suo bouquet parla di frutti gialli maturi, anche tropicali, e al palato si mostra caldo e sapido, piuttosto morbido e abbastanza persistente su toni di ananas maturo. Monteseroni è il secondo Soave, da vigne su suolo prettamente calcareo, in un pendio caldo e assolato, dove le uve maturano pienamente, e il risultato si scopre nel calice, con aromi evoluti di smalto e miele, frutti cotti, datteri, mandorla. Anche al palato conferma le attese, avvolgente con calore ben integrato, morbidezza e ricca sapidità, anche se denota un piccolo ricordo di ossidazione. Si chiude il cerchio con Vigne della Bra 2010, da impianti risalenti al 1940, su suoli ricchi e argillosi. Lungo l’affinamento di 20 mesi sui lieviti (solo acciaio per tutti i vini). Note floreali di rosa, eteree ed evolute di rosolio, mandorla amara, fiori di acacia. Palato ricco, ben articolato su tutte le componenti, dotato di buon corpo e pronto a evolvere ancora diversi anni. Interessanti espressioni di Soave, una denominazione che sa tirare fuori tanto dai suoi variegati cru.

20140405_132146Altra zona dove ritengo si possano trovare vini di ottimo rapporto qualità/prezzo sono i Colli Euganei, e me ne da la conferma Il Vignale di Cecilia, piccola cantina in quel di Baone. Meritevoli tutti gli assaggi, con note di merito per il loro Carmenere, Il Moro 2010, dai toni erbacei e fumè, confrutti rossi ben nitidi, si esprime benissimo al palato, con beva davvero godibile, che in bocca lascia frutto, tabacco, rabarbaro, e tanta voglia di berne ancora, con tannini ben dosati e bell’equilibrio. Più complesso il Passacaglia 2009, da uve Merlot, Cabernet e Barbera, che offre sentori complessi e ben assortiti, con cipria talco, fragola, alloro, ginepro e note ematiche. E’ un vino pronto, con tannino ancora in evidenza, fitto ma un po’ spigoloso, da ammorbidire un po’ col riposo in bottiglia, garantito da ottima spalla acida e buon corpo. Già lungo il suo finale, finemente ammandorlato.

Questi e tanti altri produttori hanno allietato la giornata con i loro assaggi, e infine con la serata che li ha visti tutti attorno ai tavoli nelle sale della Villa, per la cena, cui ho potuto partecipare come rappresentante della stampa (che onore!). Bellissima esperienza, che mi ha fatto conoscere persone interessanti e simpatiche che mi fanno amare ancora di più questo fantastico mondo del vino.

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