Volnay Les Champans di Voillot, la Borgogna alla prova del tempo

20140721_172231Siamo ancora a Predappio, per la precisione sul colle di Rocca le Caminate, nel fiabesco borgo dell’azienda Condè, con la vista sui vigneti e sulla vallata del Rabbi. Siamo ancora nell’ambito de “I Tre Giorni del Sangiovese” a coltivare l’amore per i vitigni più nobili e difficili, quelli capaci di dare vini dalle forti emozioni. Stavolta voliamo in Francia, e a pilotare è Giancarlo Marino, il magister, caodiuvato in cabina da Francesco Falcone. Il volo atterra a due passi da Beaune, a Volnay, sulla pista del Domaine Joseph Voillot.

Siamo di fronte ha un nome che ha scosso e segnato la rinascita dei vini borgognoni, segnando la strada per una strada che segua il classicismo senza perdere di vista la trasparenza e la precisione del ricamo. Il Domaine consiste di una decina di ettari, sparsi tra Mersault, Volnay e Pommard, e segue la tradizione familiare di svariate generazioni. Ai primi del 1800 sembrano risalire i primi vignaioli di famiglia, ma è solo alla fine del secolo che è documentata la loro attività, quando quando le uve venivano coltivate da Jean Baptiste Voillot per essere vendute ai negociant di Beaune, in un’epoca ben diversa da oggi, dove solo i grandi Negoce erano in possesso delle attrezzature e dei mezzi per vinificare e affinare, mentre ai vignaioli spettava il lavoro fino alla raccolta.

È il figlio di Jean Baptiste che inizia il nuovo corso, studiando enologia e imparando l’arte lavorando al servizio dai grandi negociant. Affinate le capacità di cantina iniziarono quindi a vinificare e vendere mosti. Nel 1931 nasce Joseph Voillot e ha inizio l’era moderna del Domaine per come la conosciamo. Joseph riconosce che nei vini del padre c’erano acidità volatili fastidiose, dovute alle fermentazioni in legno, e decide quindi per l’utilizzo di acciaio e cemento per le vinificazioni. È ancora un ragazzino di 14 anni, quando il secondo conflitto mondiale volgeva al termine, ed il padre è impegnato sul fronte, che Joseph prende in mano l’azienda. È determinato a perseverare nell’attività di famiglia e la condurrà per mezzo secolo, fino al 1995, quando opta per la pensione, lasciando le redini al genero Jean Pierre Charlot.

20140721_183035Jean Pierre non nasce come vignaiolo, ma come courtier, ovvero agente tra vigneron e negociant, ma studia e si applica fino a diventare professore di enologia a Beaune. Oggi quasi la metà dei migliori produttori della Cote d’Or sono suoi allievi. Prima dell’arrivo di Charlot in cantina, Joseph usava chiarificare e filtrare leggermente i suoi vini, rendendoli scarnificati, specie in gioventù, mentre acquisivano sostanza e articolazione nel tempo. Jean Pierre cambia strada, con la scelta di non filtrare per renderli più fruibili da subito, obiettivo effettivamente piuttosto centrato.

Per Voillot il Premier Cru Volnay Les Champans è davvero rappresentativo, in primis perché il più esteso, con poco più di un ettaro sui circa 11 totali della denominazione, e in secondo luogo per un legame particolare con questa vigna, acquisita alla nascita di Joseph. All’epoca fu acquistata perché economicamente accessibile, in quanto flagellata da frequenti gelate e quindi poco appetibile. Oggi la mano dell’uomo ha cambiato le cose, in quando prima la statale e poi l’autostrada hanno segnato una barriera artificiale che innalza le temperature e mitiga, fin spesso ad annullarle, le presenze di nebbie e gelate. Esemplificativo del legame tra Joseph Voillot e questa vigna è dato del racconto dei suoi ultimi tempi, quando vedendo scemare le proprie capacità motorie chiese di fare una passeggiata tra le vigne di Champans. Joseph Voillot ci ha lasciati proprio nel luglio di quest’anno, il 22 luglio, proprio all’indomani della mia visita alla sua cantina in compagnia proprio del magister Marino e di un gruppo di innamorati di Borgogna, quasi tutti ritrovati oggi a questo evento, quasi a celebrare e ricordare quest’uomo e i suoi vini, oggi nelle mani del genero che fedelmente prosegue sulla linea tracciata, semplicemente mettendo la sua sensibilità in cantina.

Oltre alla storia e alla carica umana, questo Cru deve molto anche alla sua situazione geologica, che lo vede differenziarsi dall’alta fascia delle colline di Volnay, più gessosa, mentre a Champans e Calleret i terreni sono quelli del giurassico medio, più ricchi in marne, con fondo scuro e ciottoloso, che tradotto nel vino apporta maggiore struttura e potenza, nonchè equilibrio, che fa di Champans uno dei terroir con capacità di durare nel tempo superiore alla media di Volnay.

Qualche cenno tecnico per dire che il primo impianto delle vigne di Pinot Noir di Le Champans di Voillot è del 1934, mano a mano reimpiantato nei settori più colpiti da fallanze, con gli ultimi imterventi datati nel ’71 e nell’ ’85. La vigna è gestita in lotta ragionata, con un quotidiano monitoraggio, cosa che permette di intervenire subito e quindi con minore impatto.

20140721_183148In cantina si orienta sul diraspamento totale delle uve, cui seguono 3 o 4 giorni di macerazione a freddo in acciaio, fino a quando parte la fermentazione, naturalmente spinta dai lieviti indigeni, che dura dalle 2 alle 3 settimane, con qualche rimontaggio, tecnica preferita alla follatura, per ottenere estrazioni più delicate. Una volta svinato si riempiono le classiche piece borgognone da 228 litri. Jean Pierre non fa travasi a meno che non siano suggeriti da sentori di riduzione percepiti nei quotidiani assaggi di botte. La mallolattica si svolge naturalmente, senza innesti o spinte termiche, e la dimostrazione l’ho vissuta sul mio palato, assaggiando campioni di botte in luglio con la mallolattica ancora in svolgimento. L’uso della solforosa non è un tabù, normalmente impiegata dopo la svinatura e dopo la mallolattica, e per chiudere impiega il necessario quantitativo prima dell’imbottigliamento.

Dopo tanti affascinanti racconti cresce la voglia e la sete di scoprire nel calice questo Pinot Noir di Borgogna, un Volnay giocato di carattere più che di leggiadria, più squadrato che elegante, giustamente definito di “architettura romanica”, squadrato e definito, proteso al cielo ma con i piedi ben radicati nel terreno.

Volnay 1er Cru Les Champans 2010. Importante raccontare di questa annata, caratterizzata di pochissima luminosità, con dinamiche simili al nostro 2014, con piogge incessanti e cieli spesso coperti. Le vendemmie sono partite il 20 settembre, e il 24 sono state bastonate da un diluvio. Ma le difficoltà erano nate già in primavera, quando durante la fioritura le gelate hanno causato problemi di allegagione, cosa che a posteriori si è rivelato il motore di un’annata sensazionale. Di fatti il fenomeno del millerandage (acinellatura) è stato ideale per garantire ai piccoli grappoli di asciugarsi quando soffiava vento, limitando le formazioni fungine, ed inoltre in vendemmia si arriva con acini piccoli, contenenti meno vinaccioli e con un maggiore rapporto buccia/polpa, a tutto vantaggio di un’estrazione di polifenoli nobili. Nel calice questo 2010 illumina col suo colore di succo di ciliegia, e al naso ammalia con toni eleganti e fini di frutti rossi, ceralacca, rosa canina, fine pepe, viola, e  una nota minerale, fino a virare sul succo di agrume. Al palato ha una progressione coinvolgente e sconvolgente, lungo e intenso, saporito, profondo, gioca sul ricordo di fiori, agrume e frutti di bosco, con vigore salino. Il tannino è di seta finemente tessuta. Spettacolare esempio di purezza. Si beve anche oggi con grande piacere, pur in fase giovanile. Un’inizio col botto.

Volnay 1er Cru Les Champans 2008. Annata più regolare, sempre fresca ma senza gelate. Il suo calice è un rubino vivo dai riflessi granato. Al naso si fa viva la carne, il pepe nero, con meno fiore, e toni di rosmarino e pepe rosa. Al palato esibisce la sua acidità spiccata, quasi violenta, un po’ spigoloso nel connubio col tannino. Dura abbastanza lungo, vibrante e tendenzialmente sbilanciato sulle durezze (sale compreso), con una maggiore sensazione di estrazione dai vinaccioli. Una poetica e coerente descrizione di Giancarlo lo traspone come “vento di tramontana in un cielo terso”. Un duro in grado di affrontare molti anni a venire prima di concedere una coccola al palato.

Volnay 1er Cru Les Champans 2006. Altra annata considerata difficile, ma anche in questo caso foriera di vini spesso eleganti. E l’impressione è quella già dal colore, meno concentrato, più trasparente e brillante del precedente. Frutti rossi e sottobosco fresco si fanno avanti alle narici: fragoline, viola, lacca, cuoio e un ricordo di fungo porcino. L’ingresso in bocca è succoso, con bella grana di tannino. Il calore è abbastanza presente ma cavalca insieme ad acidità e sale allargandosi al palato con distensione. Di minore allungo ma molto gastronomico, davvero godibile in questa fase. Vuole piacere subito e ci riesce, anche se potrà garantire minori soddisfazioni future.

Volnay 1er Cru Les Champans 2002. Annata terribile in quasi tutta Europa tranne Champagne e Borgogna, che hanno goduto di cieli tersi e buon escursioni termiche. Il colore punta al granato, limpido e brillante, anticipando l’evoluzione che incontriamo anche al naso, con note di goudron, ginepro, carne, ed echi balsamici di propoli. Una fase olfattiva in parte penalizzata da una bottiglia non perfetta, ma al palato ripaga mostrando tutte le sue potezialità: bocca bella, sottile, di tannino lieve e nobile, di grande eleganza, con progressione e acidità agrumata di scorza di arancia, lungo nel finale. Un’altra grande annata, da ricordare e sperare di risentire presto, magari nella sua massima espressione.

Volnay 1er Cru Les Champans 1999. Annata abbondante e di bel tempo, dove l’esuberanza del pinot nero prende il sopravvento sulle caratteristiche del terroir, rendendone meno facile la lettura. Il colore granato leggermente opalescente riverbera ancora di riflessi rubino e al naso è un deflagrare di aromi: sottobosco, cannella, pepe, more, ribes, ginepro, chiodi di garofano, cuoio, tabacco, toni ematici, che al palato diventano carne cruda dalle note quasi ferrose nel finale. L’approcio gustativo è bello, pur se non preciso nel tannino, qui un po’ più grossolano, ma avvolto da una struttura più ricca, che lo propone denso e lungo, di sapidità metallica. Il carattere veemente del Pinot Nero lasciato sfogare, ed è comunque un bello sfogo.

Volnay 1er Cru Les Champans 1995. La prima annata di Jean Pierre Charlot alla guida della cantina. La veste granato perde i riflessi rubino, ma l’olfatto guadagna in piacevoli terziari. Mi appunto carne, pout pourrì di fiori secchi, spezie, ceralacca, macerato di ribes nero, agrume, tamarindo, persino salgemma (quella componente minerale che segna come un tatuaggio gli Champans). E’ un vino di buona fattura, che pecca per lo più solo nella plasmatura del tannino, leggermente rugoso e terroso. Ma intrigante è l’intreccio acido-sapido che gli da spinta, per un bell’allungo con ricordi di melograno (incredibile il frutto e l’agrume ancora nitidi) e liquirizia, con un fine rimando di oliva e metallo. Gli anni passano, ma la spinta del terroir di Champans resta, anche se non svela tutta l’eleganza di cui è capace. Ma per quello forse ci sono le annate più difficili pronte a regalare soddisfazioni.

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Una verticale che lascia nel mio taccuino le spunte di preferenza per il 2002 e per il 2010, un vino che sai potrebbe dare tantissimo nel tempo, ma che ti invoglia ad essere stappato ogni giorno. Bello anche il ’99, versione muscolare e potente che comunque non smette le vesti dell’equilibrio e dell’eleganza.

Un grazie sentito a Giancarlo, che ci ha concesso di vivere e condividere un momento di grande gioia degustativa, assaporando la purezza del Pinot Noir di Borgogna, e confermandone, per chi ne avesse ancora dubbi, la grande capacità di esprimersi nel tempo. E un pensiero a Joseph, che purtroppo non ho mai potuto conoscere, se non nei racconti di chi l’ha incontrato, in questi tempi di prevendemmia voglio immaginarlo ancora a passeggio tra le sue vigne, tra i bassi filari di Pinot nero di Le Champans.

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